Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
La casa Buonarroti e il bambolaio
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 56, p. 3
Data: 6 marzo 1955


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   Dieci anni circa prima della fine dall'Ottocento si vedeva a Firenze, in via Ghibellina, proprio accanto alla Casa Buonarroti, una botteghina dove si fabbricavano e si vendevano bambole e bambolotti di cencio. Mi fermavo volentieri davanti al vetro polveroso dietro il quale stavano non del tutto ritte e non del tutto distese alcune ingenue e vilie bambole fatte in quella bottega. La testa era coperta da una capigliatura di crine animale o forse di capelli veri tolti a vecchie parrucche; gli occhi erano fatti con due perline di vetro azzurro appiccicate con un punto; le gote floride erano segnate da due macchie rotonde di pastello roseo; la bocca era formata da due fili sovrapposti di grossa lana rossa. Queste bambole avevano abiti strani e fantastici, che pretendevano a una specie di lusso esotico, forse orientale, ed erano in generale di seta finta e stinta, ma arricchiti sempre da ritagli di galloni dorati e di frange d'argento. Facevano in quella penombra impressione di creature di un altro mondo perchè non somigliavano alle idiote faccine verniciate delle bambole di porcellana con gli occhi mobili e le labbra atteggiate a un eterno sorriso di meraviglia senza ragione e tanto meno somigliavano a persone vere e vive.
   Io mi fermavo spesso a guardarle non avendo nè il denaro nè il coraggio di entrare nella bottega per comprarne una e contemplavo anche certe maschere di cartapesta, mostruosamente imbecilli, pitturate con tinte violente e assurde ed erano l'unica compagnia dei goffi fantocci femmine riempiti di segatura. Mi allontanavo soltanto quando si faceva sull'uscio il bambolaio, un vecchio magro, pensoso, con spinosi sopraccigli e il cranio pelato, che mi fissava crudelmente con due occhi di un celeste duro di maiolica. Io, allora, intimidito da quello sguardo severo di artefice e di giudice, mi allontanavo lungo il marciapiede e mi trovavo subito dinanzi alla porta della Casa Buonarroti. Ed ora soltanto, a distanza di tanti anni, mi stupisce e mi diverte il pensiero di quella inaudita vicinanza tra la veneranda casa dove sono accolte le prime opere del più grande scultore del mondo e quella misera officina dove un artigiano da strapazzo fabbricava, con le sue mani secche, quei ridicoli bambolotti di cencio e di stoffa che mi incantavano inutilmente coi loro occhi di vetro, alla fine degli stanchi crepuscoli d'estate.


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